PERCHÉ TORNEREI A NAPOLI [RRL]
In memoriam Mario Bonavolontà
[N.B. L'autore scrisse questa notarella parecchi anni fa, prima che scopiasse il oggi notissimo problema della "monnezza". E fa male, proprio male, sapere che la città partenopea sia sottomessa ai capricci dei (pre = "cosidetti") potenti.]
Ma è vero che Napoli è sporca e che i napoletani sono dei maleducati? Meglio iniziare da un paio di domande cum grano salis: sarebbe troppo ardito supporre che le città sono la prova materiale della stratificazione immaginativa, attraverso il tempo, dei loro abitanti? Quando si fa il giro di esse, non si sente ciò che è morto e ciò che è vivo nell’immaginazione dei residenti a confronto della gestione dei sogni e degli incubi dei loro antenati? Oggidì quanti uomini al mondo sono in grado di assaporare le loro città come sfida alla monotonia e rigidità dell’animo? Quanti si propongono di superare l’atteggiamento classico da cicerone più o meno esperto? Mi sembra ingiusto dare tutto il torto solo ai napoletani. Particolarmente, quando il dibattito nasce da ragioni che altro non sono che sintomi dell’artrosi affettiva dei permanentemente insoddisfatti.
Ho visitato località stupende nel mio tour italiano; son rimasto senza parole a Padova, ad Ascoli Piceno, nelle contrade friulane, ad Aquileia, nei paesini dell’Umbria, a Recanati, alla Reggia di Caserta, pure nei bagni a pagamento della Stazione Termini! In qualunque modo, Napoli resta una sfida alla elasticità/rigidità dei miei gesti/sentimenti meno pubblici: dalla bellezza e raffinatezza di certi posti (il Duomo) fino alla rissa che ho visto una sera nella zona del porto; perciò mi è venuto in mente di chiamarla un “trampolino verso l’India”. Napoli non è un museo settecentesco dal quale cavare soldi dalle tasche turistiche: a me sembra palpitare come la psiche sfrontatamente trascinata dai contrari della ragione ragionevole.
Chissà perché ritengo che le città antiche e medioevali condividessero un disordine simile, cioè un ordine che non dipende dal prestigio di un vocabolario razionalista, nemmeno nell’arredamento urbano. La Napoli sotterranea ne è una prova legata alla leggenda del monaciello. E’ vero che a Napoli non è semplice apprezzare un atteggiamento civile (la eleganza definita dal Buddha storico), ma è altrettanto vero che le parole d’ordine apprese alla prima elementare sono felicemente sciolte nella immaginazione partenopea. E nel mondo d’oggi questo è già tanto! Certo che dovrebbe essere proverbiale la sfrontatezza di un bel numero di napoletani. Certo che si possono dire tante cose sull’apparenza della città. Ma, parlando francamente, tutte le usanze odierne, in qualsiasi città, sono di una volgarità sconvolgente: perchè i napoletani dovrebbero essere la eccezione? Ho provato più vergogna e ripugnanza di fronte alla volgarità dei visitatori davanti alla tomba di S. Francesco che di fronte all’inaccettabile assalto dei teppisti adolescenti su un mezzo al Vomero. Permettiamoci una battuta: i teppisti sono vecchi quanto il mondo, i turisti sono una creazione tedesca-anglosassone del secolo XVIII (se non sbaglio troppo).
Dopo il mio primo incontro, né amo né odio Napoli; ma, parlando francamente, è d’uopo riconoscere che la trovo affascinante, perchè non ho mai provato tante sensazioni contraddittorie verso un posto. O dovrei dire che mai un posto mi ha fatto capire quanto sono contraddittori e arbitrari i miei gusti e dispiaceri? Forse in questa capacità risiede la forza che sento a Napoli: la capacità di farmi capire quanto sono insignificanti i comandi dell’io. Perciò, ripeto, l’ho chiamata un “trampolino verso l’India”. Davanti a Napoli si deve portar pazienza; come d’altronde, succede in Città del Messico. Ma una volta raggiunta la pazienza: che ci si scopre? Credo di sapere cosa si trova in Città del Messico, ma non so cosa si può trovare a Napoli. Ci vuole tornare. Sarà per questo che, nel mio ricordo, sento una Napoli che lotta inconsapevolmente contro il peso martoriante dell’uniformità affettiva e di pensiero imposta nel pianeta perlomeno dal positivismo (ultimo baluardo della fantasia europea?).
Napoli mi appare come un campo a magesse, dove tutti i detriti organici e inorganici si mescolano per dare origine all’ antichissima stoffa del mondo. Infatti, monumenti, chiese, palazzi, parchi, il mare, ecc. esistono a Napoli come esistono in tante altre città italiane o del mondo; ma la prima cosa che scorgi, come metti piede a Napoli, è il fracasso e il caos dei suoi abitanti. Ecco il capolavoro napoletano: chiese, palazzi o monumenti che siano sono parte della digestione dell’animo partenopeo invece di esser parte della conversazione nei salotti e nei musei. E’ noto: i prodotti della digestione non sono gradevoli, ma è in loro dove si nasconde il germe della vita. Forse la metafora è shockante, ma era prediletta tra gli alchimisti. D’altronde, la digestione è anche una vecchissima metafora riguardante la conoscenza; dopo tutto, anche i filologi dilettanti sanno che “sapere” vuol dire “assaporare”.
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