LA MUSA: INTELLIGENZA ACUSTICA [RRL]
Un aspetto proprio deplorevole dell’educazione occidentale è l’inespiegabile voltafaccia al mistero della voce umana, quel venticello dove si radunano la parola ed il canto. Un indovinello upanishadico ci può far scorgere il rilievo cosmico della voce: «come fa l’acqua per acquisire voce umana?». La risposta è chiaramente indù: dai cadaveri cremati si alzano i vapori che formano le nuvole; come piove, quell’umidità viene cambiata in cibo; il cibo muta in liquido seminale e fa nascere un nuovo individuo. In questo modo l’acqua della nuvola acquisice voce umana. I greci, più scaltri di noi, avevano scoperto che la voce è il paese dove la Musa sorge. Avevano osservato una certa cosa che oggi solo il musicista di professione sarebbe in grado di scoprire: che innanzitutto il corpo umano è uno strumento musicale; cioè il locus apparitionis possibile della Musa. Dovrebbe essere palese che la voce è l’unico suono inteligente che discrimina il corpo dal cadavere. Purtroppo, oramai esiste un continuo chiachierare sulla celebrità del cervello, e i suoi seguaci provano a riprodurre la sua complessità físico-chimica in programmi informatici. Eppure, l’emozione che li agita è materia disputabile. Molto di più afferrati alla vita veramente piena e goduta sono i muscoli ed una picola membrana: senza il timpano e senza il diaframma, ottoni legni ed archi tirarebbero dei calci al vento, muti.
Si badi bene al fatto che non si tratta soltanto di ogni contorno corporale possibile; la voce è sopratutto un affare cosmico. Proprio per questo i greci hanno visto la Musa nella voce, nei gesti, nel disegno e perfino negli astri. Sebbene avevano percepito che la Musa poteva dirigere l’intelligenza nel disegnare (nella geometría o nella danza, ad esempio), ignorarono la poca importanza che loro stessi davano allo scrivere e insistirono sulla grammatica (una maniera di estrarre miriadi di sensi dalla ventina di scarabocchi che definiamo alfabeto). Il peccato, in una certa maniera, risiedette (e risiede ancora) nell’attenzione smisurata concessa alla lettoscrittura, dato che a sua volta essa medessima porta alla distrazione. Pur sembrando inaudito, veniamo al sodo: se si scrive non si può cantare, e una volta che si canta, la scrittura diventa inutile. Così si dimentica che mentre si parla si canta al contempo, ma automaticamente. come tutti quanti cantano (come appartenendo ad un coro stordito dalle stesse scale ed armonie), senza un orientamento intento all’intelligere. Insomma, parlando era già difficile la concen-trazione e poi anche il volgere l’attenzione al tratto calligrafico ha fatto trascurare ancora di più l’intelligenza acustica. Scrivere giova alla concentrazione; ma è impotente di fronte al parlare cantando significativamente. L’attenzione data al come si canta ciò che si vuole esprimere è creatrice dei mondi. I lettori dell’inizio del Silmarillion di Tolkien ricor-deranno anche che la creazione del mondo è opera dell’intelligenza acustica. Questa intelligenza, i grecci la chiamarono Logos; gli indù, Brahmanaspasti e i cristiani Verbum.
Sommersi in una creazione resa incesante dagli echi dell’intelligenza acustica, quelli che parlano cantano senza sapere di stare cantando, perché suppongo che le melodie e i ritmi si attardano nello scritto; ma ciò che viene scritto è semplicemente scarabocchi. Sommersi in una cilviltà che ritiene l’intelligenza prigioniera della lettoscrittura, quelli che cantano non fanno attenzione perché credono di afferrare la Musa attraverso la grammatica. Appunto perché le litterae (cognittio ac ratio litterarum) con il tempo hanno smesso di essere grammatica per diventare una delle belle arti. Se questa affermazione sa di paradosso, si pensi ad uno spartito. Tra le note musicali stampate (sapendo leggerli o no), dove si trova la musica? Appunto, di musica, non c’è ne. Lo stesso accade al compositore mentre scarabocchia le battute di un’opera nuova, dov’è che risiede l’opera intera? Soltanto audibile nella sua memoria? Si ricorda mai che le Muse erano le figlie di Mnemosine? Orbene, ogni suonatore rischia di rimanere colpito dall inevitabile divario che separa la sua destrezza muscolare da strumentista dall’ opera che, come ascoltatore, giudicò degna di studio. Sarà da immaginare che se lo strumentista fa attenzione al divario, la Musa non lo rapirà, cioè lui essa non riuscirà ad illuminarlo per illuminare a sua volta gli ascoltatori. Ecco il rischio. Lo stesso capita al lettore scaltro; le pagine sporche d’inchiostro sono dei portoni di ferro che possono impacciare l’entrata a quell’esperienza che sta al di là di ció effettivamente disegnato dallo scrittore. In questo caso il pericolo è l’ inguaribile ignoranza.
Questa mutilata gita per l’intelligenza acustica innanzitutto aspira a chiarire che ogni essere umano è polifonia, complesso vocale, e per questo motivo ogni essere umano diventa suonatore, traduttore, cioè camaleonte dei linguaggi e delle lingue. Come si è accennato prima, le lingue sono la pelle attraverso la quale moduliamo, cantiamo i mondi dell’immaginazione (non della finzione), che sono gli unici mondi reali dove man mano respiriamo giornalieramente. Certo que quando diciamo mondo non si fa riferimento né ad alcun sistema dei pianeti né allo spazio esterno ed ancor meno agli oggetti astronomici di cui si vanta l’Astrofisica più o meno dal Novecento. La parola mondo qui significa una limpida struttura vivente della coscienza, dalla quale dipende ogni corpo individuale. E chiaro dunque che senza questi mondi dell’imaginazione, nessuna vita vale la pena di essere vissuta; ed è ancora più chiaro che la sostanza di questi mondi, siano quelli che siano, dondola, diciamo, dall’attenzione musicale, libera dal gesto che la rende inerziale.
[brano della conferenza “Perché non c’è stata una musa della grammatica?”]
![](https://static.wixstatic.com/media/68845d_2a655ef6d1264731948f0b4a9ea5c4ba~mv2.jpg/v1/fill/w_980,h_506,al_c,q_85,usm_0.66_1.00_0.01,enc_avif,quality_auto/68845d_2a655ef6d1264731948f0b4a9ea5c4ba~mv2.jpg)
Comments